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Sistema Montante – L’avvocato Genchi: “Era al ristorante con il questore Esposito e parlava di una misura patrimoniale poi eseguita”

La Valle dei Templi - 10 giugno 2022 - di Gian J. Morici


 
Genchi al processo sul sistema Montante, che si celebra a Caltanissetta con rito ordinario nei confronti di 17 imputati, è sia parte civile che teste per vicende che non riguardano la sua costituzione di parte civile.
 
L’avvocato Genchi – nel corso dell’udienza dell’8 giugno – ha ricostruito in aula i rapporti con l’imprenditore Davide Tedesco, ricordando come venne all’epoca contattato dal senatore Giambrone, conosciuto probabilmente tramite Antonio Di Pietro, il quale gli aveva riferito che un suo parente aveva necessità di parlargli per una questione legale molto delicata legata a vicende imprenditoriali e familiari.
 
Inizia dunque un rapporto professionale che si trasforma successivamente in un rapporto di amicizia.
 
Nel corso di quest’interlocuzione, il Tedesco gli disse che era molto amico dell’ingegnere Pietro Di Vincenzo – che si trovava in carcere – con il quale intratteneva una corrispondenza epistolare.
 
“Lui parlò di me a Di Vincenzo – ricorda in aula Genchi – e quest’ultimo gli chiese di coinvolgermi nella sua difesa. Nell’inquadrare la problematica giudiziaria di Di Vincenzo io ebbi subito la sensazione che – al di là di quella che era l’azione giudiziaria della procura – la genesi delle sue problematiche nascesse dall’avere, sostanzialmente dopo la prima misura cautelare della procura di Roma dell’indagine Cobra e la sua piena assoluzione – dopo essere stato sottoposto a misura cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa – dall’essere tornato a Caltanissetta e avere accettato un ri-coinvolgimento nell’associazione degli industriali quando erano cambiati i tempi da un punto di vista politico… erano cambiati gli equilibri”.
 
Di Vincenzo – narra Genchi – non si era reso conto che nonostante il consenso che aveva avuto dai colleghi che lo avevano riaccolto, andava incontro a una realtà mutata.
 
Una realtà mutata perché il contesto imprenditoriale che faceva riferimento prima a Di Vincenzo, aveva individuato in Montante il nuovo punto di riferimento.
 
“Quello che mi fa scattare l’attenzione – che poi sarà oggetto delle investigazioni difensive – è l’apprendere di un  articolo di stampa di una vicenda che non avevo trovato in nessuna delle imputazioni provvisorie, né negli atti d’indagine. Un presunto attentato, o un controllo o pedinamento che riguardava Montante… che riguardava il procuratore capo di Caltanissetta, e di cui Di Vincenzo non mi aveva mai parlato, perché promanava da un appunto che lui aveva effettivamente registrato nel suo computer, di cui non mi aveva detto nulla perché non avevamo avuto né il dissequestro del computer, né la copia della consulenza tecnica realizzata dal consulente della procura di Caltanissetta, che non era mai stata depositata agli atti. Nell’appunto – che leggerò poi sulla stampa – si accennava a un pedinamento, all’organizzazione di qualcosa di non ben definito che determinò anche interventi delle autorità in termini di valutazioni di un pericolo per le personalità che vi erano coinvolte. Lui aveva annotato – perché aveva avuto l’informazione – di una cena – alla vigilia delle vicende giudiziarie che lo riguardavano, che si era tenuta a casa di Venturi, a cui avevano partecipato Montante, Lumia, Ardizzone e il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari. Il procuratore Lari confermò poi questa cena riferendo che si era trattato di una visita istituzionale. Io, per la verità, non ricordo visite di procuratori a casa degli imprenditori, anche quando hanno cariche di Confindustria, ma semmai al contrario. E queste visite si tengono negli uffici giudiziari e non nelle abitazioni private. Questa circostanza Di Vincenzo l’aveva annotata. Non aveva scritto che doveva fare attentati, non doveva fare nulla. La consulenza non è stata mai depositata, il computer non è stato sequestrato, io non lo sapevo, Di Vincenzo mi confermò di non avere mai parlato con nessun giornalista. Ce la siamo vista suoi giornali di tutta Italia con la solidarietà dell’antimafia nazionale, regionale, di Leoluca Orlando… e da lì capii che il vero problema non era il processo, ma era un “sistema” che aveva girato le spalle (a Di Vincenzo – ndr)”.
 
Questa la premessa di Genchi al perché Tedesco gli inviò dei messaggi con i quali raccontava cosa stava accadendo mentre si trovava al ristorante e sente parlare Montante con un signore, di una misura di prevenzione in corso su un soggetto che poi effettivamente ne fu attinto.
 
“Quando venne in studio da me, cercammo di capire insieme sia chi fosse la persona di cui parlavano e di mettere a fuoco chi fosse questo soggetto al tavolo di Montante. Dopo la descrizione che mi fu fatta mi collegai su internet e gli feci vedere la foto del questore Carmine Esposito e quindi collegammo che la persona con cui era al ristorante era lui”.
 
Montante, è bene ricordare, seppur già “paladino antimafia”, innanzi la commissione antimafia nelle audizioni del 2005 e del 2010 e del 2014, sulle vicende di mafia riguardanti Di Francesco ed i suoi “compari di nozze” Paolino e Vincenzo Arnone non fece mai cenno.
 
“E’ emerso, peraltro – aveva già sostenuto in passato Genchi – che Montante aveva attuato un’estesa azione di spionaggio e di discredito, anche nei confronti di Di Francesco per dimostrare che questi era un falso pentito ‘finanziato’ dall’imprenditore Pietro Di Vincenzo, mediante il quale Cosa Nostra voleva vendicarsi nei confronti di Montante per le sue sedicenti denunce contro la criminalità organizzata”.
 
Va altresì ricordato, come tra i documenti segretamente custoditi da Montante, la Squadra Mobile aveva rivenuto le prove relative all’accesso abusivo allo SDI commissionato dal numero uno di Confindustria  ai danni di Cicero, e alcuni esposti anonimi inviati a Confindustria, nei quali veniva mossa a Cicero, al giornalista Attilio Bolzoni ed a Marco Venturi, l’accusa di far parte di un gruppo di affiliati alla mafia, della cui cabina di regia avrebbero fatto parte Di Vincenzo ed il suo legale Gioacchino Genchi.
 
E poiché zucchero non guasta bevanda, come si evince da un’intercettazione del 6 agosto 2016, Montante si era anche prodigato affinché su un giornale online venisse pubblicato un falso dossier perché Cicero e Venturi venissero accusati di avere ceduto alle pressioni della mafia agrigentina.
 
Genchi nel corso della sua testimonianza ha parlato anche di tentativi di accesso al suo account dal quale condivideva le mail con l’imprenditore Pietro Di Vincenzo, a cui aveva dato un suo Mac in disuso perché potessero lavorare a distanza su documenti condivisi.
 
“Tra questi – dichiara il teste – c’erano anche interazioni sulla mia attività difensiva e mi arrivavano diversi allarmi su tentativi di accesso a questa mail”.
 
Una brutta storia che sembra rientrare nelle strategie poste in essere da Montante per colpire i suoi nemici.