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Segnata da uno stupro, muore ad un passo dalla laurea

Il ricordo di Genchi: «Ero consulente al processo ma non potei testimoniare, meritava più di 8 anni»

Giornale di Sicilia - 23 marzo 2019 - di Giusi Parisi

Si chiamava S. C. e aveva quasi trentuno anni, la studentessa che giovedì sera, intorno alle 19, ha scelto di togliersi la vita gettandosi dal settimo piano della sua abitazione di via Giovanbattista Ughetti, zona Villaggio Santa Rosalia. Inutile l’intervento del 118 che, arrivato sul posto, non ha potuto che constatarne il decesso. Un biglietto lasciato alla famiglia, la decisione d’un salto nel vuoto e una giovane vita si spezza schiantandosi al suolo. Apparentemente senza un motivo. Perché, in fondo, non c’è mai una ragione perché una vita debba finire. Ma la gioventù di S. (che dicono avrebbe dovuto laurearsi il giorno seguente) non è stata spensierata come quella di tante sue coetanee. Originaria di Mistretta, paese del messinese sui Nebrodi, S. all’età di sedici anni aveva subìto violenze da parte di un educatore, G. T., che le dava ripetizioni a casa. Violenze che lei aveva trovato la forza di denunciare, portando a processo il suo insegnante.

Processo che, però, da Mistretta passò al tribunale di Patti, a seguito della nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici dei pubblici ministeri. L’esperto informatico Gioacchino Genchi è stato consulente tecnico e perito di parte di S. C. e, all’epoca dei fatti, esaminando computer e cellulare (e relativi tabulati telefonici) dell’indagato, aveva riscontrato la sua inconfutabile colpevolezza (G. T. è stato condannato a otto anni). Ma il rammarico di Genchi è quello di non aver potuto testimoniare a quel processo (che ricorda benissimo compreso il numero di procedimento).

«L’incarico per quella consulenza mi arrivò nel settembre del 2005 – racconta – le responsabilità di G.T. erano così chiare e trasparenti in tutto quello che avevo raccolto in pochissimo tempo che non ci fu alcun bisogno di conoscere la ragazza. Il mio cruccio è quello di non essere stato citato come testimone al processo perché, nel marzo del 2009, mi furono sequestrati i computer (per ordine della Procura di Roma, i carabinieri del Ros gli sequestrano il presunto archivio segreto per estrarre i dati del lavoro che conduceva come consulente di Luigi De Magistris, all’epoca pubblico ministero di Catanzaro) quindi non avrei potuto portare quanto accertato: in dibattimento i ricordi non sono validi. Degli otto anni inflitti credo che abbia trascorso solo qualche giorno in carcere per problemi di salute. Ma se avessi avuto la possibilità di testimoniare sono certo che la pena comminata a G.T. sarebbe stata più severa. Il processo è stato lungo anche per la chiusura del tribunale di Mistretta che portò a una congestione di procedimenti in quello di Patti dove passarono tutti i procedimenti».

Ma perché suicidarsi la sera precedente a un giorno che per tutti sarebbe stato motivo di festa? «La laurea è uno di quei pochi riti trasformativi e di passaggio ancora presenti nella nostra società liquida», dice lo psichiatra Daniele La Barbera, «significa accesso nel mondo del lavoro e a una nuova vita. Ma i traumi subìti non passano mai del tutto perché tutto quello che è successo è per sempre e può emergere in qualunque momento. Certo siamo nel campo delle ipotesi e non conosciamo a fondo i fatti, ma se la ragazza doveva laurearsi, la gioia degli altri avrebbe fatto emergere dolori personali da lei mai superati: in certe psicopatologie, si inverte il senso delle cose. Mai sentito che, con tutta l’enfasi sulle relazioni familiari e sociali, Natale e le feste comandate sono i giorni dell’anno a più alto rischio depressivo?».

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