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Mezzojuso, restano i commissari. Il Tar: Comune sciolto per mafia

Respinto il ricorso presentato dall’ex sindaco, per i giudici amministrativi del Lazio c’erano «legami con la criminalità»

Giornale di Sicilia - 21 agosto 2021 - di Giuseppe Spallino

Il Tar del Lazio ha confermato lo scioglimento del Comune di Mezzojuso per infiltrazioni mafiose. Il collegio della prima sezione (presidente Antonino Savo Amodio, estensore Roberta Ravasio) ha respinto il ricorso presentato dall’ex sindaco Salvatore Giardina per annullare il decreto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del 16 dicembre 2019.
 
La decisione era giunta a seguito della relazione inviata dall’allora prefetto Antonella De Miro al Viminale su «accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali». Parole messe nero su bianco dalla commissione ispettiva che si era insediata il 5 giugno di quell’anno.
 
L’ispezione era stata disposta dopo che durante la puntata di «Non è l’Arena» di La7 andata in onda il 12 maggio precedente dalla piazza della cittadina per discutere il caso delle sorelle Anna, Ina e Irene Napoli, le tre imprenditrici agricole che hanno denunciato tentativi di estorsione ai danni della loro azienda di 90 ettari, l’ex sindaco Giardina, rispondendo a una precisa domanda del conduttore Massimo Giletti, aveva confermato di aver partecipato nel 2006, quando era assessore, alla tumulazione del capomafia Nicola La Barbera conosciuto come «don Cola».
 
I giudici amministrativi ricordano innanzitutto che per lo scioglimento è sufficiente «l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (tra cui, in misura non esaustiva: vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni)».
 
«Particolarmente anomala – continuano – risulta la vicenda edilizia relativa ad un impianto per la produzione di conglomerati cementizi, caratterizzata dalla costruzione di svariati fabbricati abusivi». Anzi «nel 2016 il Comune ha addirittura rilasciato una sanatoria relativa all’intero complesso immobiliare», nonostante «era emerso che alcune famiglie mafiose obbligavano imprese di costruzione ad acquistare il calcestruzzo dall’impianto in questione, impedendo loro di rivolgersi alla concorrenza».
 
Non solo, «a seguito dell’emergenza idrogeologica del novembre 2018, il Comune ha fatto ricorso a svariati affidamenti diretti per somma urgenza in favore di imprese i cui titolari hanno frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata».
 
Parentele con boss di Cosa nostra e affidamenti a imprese opinabili durante l’emergenza idrogeologica sono anche i temi che stanno a monte del processo che vede imputato Massimo Giletti a seguito di una denuncia dell’ex sindaco di Mezzojuso. Il dibattimento entrerà nel vivo il 16 dicembre davanti al giudice monocratico di Termini Imerese, Giuseppina Turrisi. La difesa, rappresentata dagli avvocati Gioacchino Genchi e Paolo Siniscalchi, è passata al contrattacco, chiedendo la nullità del decreto di citazione a giudizio per un errore giuridico commesso dal procuratore in persona Ambrogio Cartosio: la querela non era stata presentata da Salvatore Giardina bensì da un soggetto che «non risulta essere persona offesa del reato denunciato».
 
Stalking, un errore evita il processo a Gebbia
 
Annullato il decreto di citazione a giudizio che aveva portato sul banco degli imputati Nicolò Gebbia, generale dei carabinieri in pensione ed ex assessore alla cultura della giunta Giardina a Mezzojuso, per diffamazione, con l’aggravante di aver recato le offese tramite un social network e quindi con un mezzo di pubblicità, e atti persecutori. È stato rilevato un errore tecnico del procuratore Ambrogio Cartosio, perché per il reato di stalking bisogna richiedere il rinvio a giudizio, quindi ci deve essere un primo vaglio del giudice per l’udienza preliminare. Il fascicolo è ritornato nelle mani del capo della Procura di Termini Imerese che ha dovuto scrivere la richiesta di rinvio a giudizio, che sarà trattata il 26 ottobre davanti al gup Claudio Emanuele Bencivinni.
 
Gebbia dopo il pensionamento aveva sposato la causa contro le sorelle Napoli e chi gli dava solidarietà, come Salvatore Battaglia, il giovane assicuratore che a Mezzojuso ha rappresentato una «voce fuori dal coro», schierandosi dalla parte delle tre donne. Contro quest’ultimo, ininterrottamente fino al 27 gennaio dell’anno scorso, aveva pubblicato post nel proprio profilo Facebook, poi rimosso, accusandolo apertamente di «aver dato alle fiamme la propria auto e aver denunciato falsamente di aver subito il relativo danneggiamento», nonché di «essere stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio». Nel primo caso «pubblicando una vignetta nella quale, nella prima immagine era raffigurato un uomo incappucciato, e nella seconda immagine un secondo uomo che, togliendo il cappuccio al primo, ne svelava l’identità, avendo questi il volto dello stesso Battaglia; con la seguente didascalia: “Mezzojuso, scovato il piromane che ha dato fuoco la macchina di Battaglia”».
 
In precedenza il procuratore Cartosio aveva chiesto l’archiviazione di una prima querela presentata da Battaglia e quella fatta dalle Napoli nei confronti di Gebbia. Quindi, dalle colonne del Giornale di Sicilia, il giovane Battaglia aveva espresso amarezza, denunciando il loro isolamento.