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I GIUDICI SEQUESTRANO IL TELEFONO DI FALCONE

Anche il centralino del Tribunale è stato sigillato Gli inquirenti preoccupati: "In tutto il Palazzo non è garantita la sicurezza delle conversazioni"

Repubblica - 10 agosto 1989 - di Attilio Bolzoni

PALERMO. La centrale telefonica del tribunale di Palermo ieri a mezzogiorno è stata messa sotto sequestro. Un provvedimento firmato dai sostituti procuratori Giuseppe Ayala, Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone, i tre magistrati che indagano sul giallo dei fili sospetti nel Palazzo. Sotto sequestro anche uno dei telefoni del giudice Falcone, tre o quattro cassette di snodo e altro materiale che gli investigatori in queste ore stanno esaminando. L’operazione bonifica nelle stanze segrete dell’ufficio istruzione continua così dopo l’apertura di una formale inchiesta penale affidata ai tre magistrati. I tecnici del servizio telecomunicazioni del ministero degli Interni sono rientrati nel bunker alle nove del mattino. Prima hanno incontrato Ayala, Lo Forte e Pignatone, poi si sono messi al lavoro sigillando subito un paio di armadi metallici dove passano grovigli di fili che dovrebbero scorrere lontano da quei punti. L’indagine sulla rete colabrodo dei telefoni del palazzo di giustizia di Palermo va avanti. Dopo le indiscrezioni, dopo le inutili smentite, dopo i mille tentativi per nascondere l’ incredibile situazione dei cavi e delle linee che s’ intrecciano nel bunker più blindato d’Italia, ecco cosa dicono i tre magistrati titolari dell’inchiesta. E’ una dichiarazione ufficiale che rilasciano in un nervoso clima ad una dozzina di cronisti riuniti nella stanza del sostituto procuratore Ayala. La dichiarazione è stata scritta su un foglio bianco da uno dei tre giudici e subito dopo approvata dagli altri due. Ecco il testo: Quello che è sicuro è che la situazione fino ad ora riscontrata appare tale da non assicurare quel tasso di sicurezza delle comunicazioni che dovrebbe competere invece ad un Palazzo di giustizia impegnato in uno dei fronti giudiziari più caldi del Paese. Questa è la nota concordata in un primo momento dai tre sostituti procuratori della Repubblica che indagano sull’intrigo dei telefoni del tribunale. Incalzato dalle domande di un paio di cronisti, Ayala ha aggiunto poi qualcosa che è stato subito sottoposto al visto degli altri due suoi colleghi. E’ una precisazione: Il che (cioè la situazione riscontrata nel Palazzo, ndr) non vuol dire che, almeno allo stato, si possa affermare che siano state effettuate intercettazioni. L’indagine è volta proprio a fare chiarezza. Dopo quasi una settimana di misteri e di silenzi finalmente qualcuno prova a chiarire piuttosto che a confondere, prova a spiegare ufficialmente come stanno le cose senza mezze frasi, senza lanciare messaggi in codice o tentare a tutti i costi di minimizzare. Solo l’altro ieri il procuratore della Repubblica di Palermo Salvatore Curti Giardina aveva risposto così all’agenzia Ansa: Non esiste il ragionevole sospetto che le anomalie riscontrate negli impianti telefonici del palazzo di giustizia abbiano dato luogo ad intercettazioni o siano state finalizzate a compierle. Un’affermazione categorica, un’affermazione che contrasta con la decisione di aprire un’inchiesta penale (e affidarla a ben tre magistrati) e a fare intervenire ancora nel Palazzo i tecnici delle telecomunicazioni. La dichiarazione rilasciata dai tre sostituti sembra smentire nei fatti il procuratore sull’intricata storia dei telefoni. I fatti? C’è un’indagine, ci sono magistrati che ordinano il sequestro della centralina telefonica del tribunale, sono sempre all’opera alcuni esperti che cercano di scoprire il perché di quelle mille stranezze individuate nei cavi e nelle linee del bunker. Gli esperti del ministero degli Interni hanno consegnato ai tre magistrati anche un primo rapporto, una relazione dove tecnicamente non escludono la possibilità che quei telefoni potevano essere intercettati. Intorno a queste notizie confermate già sabato sera a Repubblica dal questore Fernando Masone (non sappiamo se qualcuno controllava quei telefoni, è certo che le condizioni ottimali per farlo c’erano tutte) si è scatenata una caccia alla smentita senza precedenti. Perché? E’ uno dei misteri palermitani di questa estate. Prima si nega per due giorni l’esistenza di un filo anomalo sulla linea del telefono del giudice Falcone, poi si ammette che una derivazione strana in effetti c’ era, poi ancora si sostiene che quel groviglio di fili è esclusivamente provocato da innumerevoli lavori eseguiti da operai maldestri. Tecnici che avrebbero lasciato aperte e manomesse le cassette di snodo, che avrebbero inserito fili in centraline diverse da quelle indicate nella pianta, che avrebbero infilato a caso cavi nei muri, cavi dei quali ancora oggi non si conosce la destinazione finale. I sostituti procuratori Ayala, Lo Forte e Sciacchitano ieri hanno ad esempio autorizzato i poliziotti delle telecomunicazioni ad usare martello e scalpello per cercare dentro una parete due fili dei telefoni di Falcone, due fili che naturalmente finiscono in un posto dove non devono finire. Ai funzionari del ministero degli Interni i magistrati hanno chiesto nel più breve tempo possibile un rapporto dettagliatissimo su tutta la rete telefonica del Palazzo. Un’operazione che sarà effettuata senza i problemi incontrati nei giorni scorsi dai bonificatori per via di quel piccolo incidente con i carabinieri di guardia al tribunale. Dopo la sfuriata di Antonino Meli per l’ingresso senza autorizzazione dei tecnici nel bunker, ieri il consigliere istruttore e il suo vice Marcantonio Motisi hanno incontrato Gioacchino Genchi, il dirigente del servizio telecomunicazioni della Sicilia occidentale. Un colloquio chiarificatore dopo le incomprensioni nate con il blitz, un faccia a faccia tra poliziotti e giudici prima di rientrare nel bunker alla caccia di fili sospetti. Gli addetti alla bonifica ieri erano in cinque. A terra quattro valige metalliche, un apparecchio telefonico, un lunghissimo filo avvolto in una busta di cellophane. Dopo l’ennesima visita nella stanza di Falcone, è stato aperto l’ufficio del giudice istruttore Giuseppe Di Lello e poi la stanza dei finanzieri. Poi ancora la decisione di mettere sotto sequestro la centrale telefonica e alcune cassette di snodo trovate aperte nei giorni scorsi. Il sequestro di un telefono sulla scrivania del giudice Falcone è avvenuto subito dopo, è quel telefono abilitato sia alle chiamate interne che a quelle urbane ed interurbane, è l’apparecchio dove venerdì era stata individuata la strana derivazione, una deviazione che gli esperti nel loro rapporto definiscono tecnicamente inspiegabile ed ingiustificabile. Ma percorsi assolutamente selvaggi fanno anche i cavi che collegano i telefoni di altri giudici. Poi c’è la sala dei computer. I sospetti di intercettazione qui sono documentati per due episodi accaduti prima e dopo il fallito attentato all’Addaura. Un’ interferenza è apparsa due volte sui terminali. Differente operatore sullo stesso livello di parentesi, è la scritta che improvvisamente è apparsa sui video e che è stata subito memorizzata su una stampante.