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FI e l’ombra dei Graviano sul primo “club” in Sicilia

PROMEMORIA SULLE STRAGI. Le bombe del 1993

il Fatto Quotidiano - 11 ottobre 2019 - di Marco Lillo

fratelli gravianoQuando il 27 gennaio 1994 i carabinieri arrestano i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, a Milano, viene sequestrato un telefonino Microtacs Motorola alla futura moglie di Filippo.

 

Avvocato Gioacchino GenchiIl super-consulente Gioacchino Genchi scopre che in un anno “stranamente” ha effettuato solo 6 chiamate e ne ha ricevute 7.

 

Per Genchi “è verosimile che sia stato utilizzato per la ricezione di telefonate da utenze installate in sede fissa (private e pubbliche, cabine ecc..) per le quali in Italia non è prevista la registrazione del traffico”.

 

I Graviano sfruttavano il buco (poi coperto) della rete per rendersi invisibili. Tranne che per 13 chiamate. La prima era al 161, l’ora esatta, un test. Ne restano 12: una a uno spedizioniere di Palermo, tre a un meccanico di Misilmeri, imparentato con il boss Pietro Lo Bianco di Misilmeri, ‘lo zio Pietro’ per Graviano. Tre telefonate, concentrate tra il 10 e l’11 dicembre del 1993, sono con un incensurato insospettabile: Giovanni La Lia, classe 1964.

 

misilmeri

Ai carabinieri il 13 aprile 1994 disse: “Sono in attesa di occupazione e al momento svolgo l’incarico di presidente del club Forza Italia di Misilmeri che è stato costituito il 2 febbraio 1994”, appena una settimana dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi.

 

I soci fondatori del direttivo erano lui e altre quattro persone, tra cui la sorella. La sede era al suo indirizzo. Un club casa e famiglia.

 

Aggiunse: “Ho conosciuto soltanto i signori Angelo Codignoni e Gianfranco Micciché, il primo è uomo di fiducia di Berlusconi e presidente dell’Associazione Nazionale Forza Italia e il secondo neo-deputato”. Niente di strano. Li aveva conosciuti “nei primi giorni di febbraio 1994 in occasione di un incontro all’Hotel San Paolo Palace”. A domanda specifica rispose “ricordo un Dell’Utri della Fininvest credo se ne sia parlato in televisione”. Poi tornò il 18 aprile per precisare “mi sono informato, è un onorevole di Forza Italia che non ho mai conosciuto”.

 

Sulle tre telefonate tra il telefonino del presidente di uno dei primi circoli di Forza Italia e il cellulare usato dai boss Graviano, il regista operativo delle stragi del 1993, i giornalisti e gli investigatori si interrogano da 25 anni.

 

Genchi pensò che fosse stato prestato perché quel cellulare effettua chiamate incoerenti con un incensurato. La Lia poi aprirà un’attività a Misilmeri e infine si trasferirà al nord dove lavora onestamente da decenni.

 

Eppure per mesi, a partire da gennaio 1993, il suo telefonino sembra in preda ai demoni: fa chiamate quasi esclusivamente con il cellulare intestato al macellaio Giovanni Tubato, poi accusato di avere custodito l’esplosivo della stragi e infine ucciso il 20 agosto 2000. Altre telefonate con Salvatore Benigno e una persino con Gaspare Spatuzza, il 9 luglio 1993. L’8 giugno 1993 c’è anche una chiamata al boss Giorgio Pizzo.

 

forza italia

All’improvviso il telefonino di La Lia, sotto elezioni, cambia giro. Il 26 gennaio, Berlusconi scende in campo e il 6 marzo il cellulare di La Lia chiama il cellulare 0336-4477… intestato alla casa di sondaggi preferita dal Cavaliere del 1994: la milanese Diakron di viale Isonzo. Il 22 marzo 1994, pochi giorni prima del trionfo di FI, una chiamata all’utenza di Salvatore La Porta, coordinatore regionale di Forza Italia Sicilia. Poi una chiamata a un volto storico della politica siciliana, l’ex deputato regionale Dc Vittorino La Placa, altre ai parlamentari di Forza Italia, Gaspare Giudice e Michele Fierotti. Tutti assolutamente al di sopra di ogni sospetto. Tutti non ricordano di avere mai conosciuto La Lia.

 

I carabinieri gli chiesero se avesse mai prestato il cellulare, ma l’allora 30enne replicò: “l’apparecchio è rimasto sempre in mio possesso”. I tabulati furono acquisiti dai pm che indagavano sulle stragi del ‘93 a Firenze. Nessuno ha decifrato il mistero e La Lia non è mai stato indagato.

 

Fabio TranchinaLe uniche chiamate spiegabili del cellulare sequestrato ai Graviano sono le 5 effettuate con Fabio Tranchina. Il panettiere classe 1971 che fu sentito due giorni dopo La Lia disse di non ricordare nulla. In realtà era l’autista dei Graviano dal 1991. Poi Tranchina è stato arrestato e si è pentito nel 2011 dopo un altro fermo. L’11 maggio 2018 al processo ‘ndrangheta stragista’ il pm Giuseppe Lombardo lo interroga anche sul misterioso La Lia.

 

PM: Lalia Giovanni le dice qualcosa?

Tranchina (T): Il cognome… sinceramente se lo devo abbinare al cognome…il cognome non mi ricordo nulla”

PM: Quindi come cognome non le dice nulla

T: No (…) dottore io sinceramente non mi ricordo. Il cognome non mi dice nulla perché magari non conosco il cognome… io mi ricordo di Giovanni, c’era una persona che grosso modo ai tempi poteva avere la mia stessa età, questa persona pure ultimamente faceva sporadicamente da autista a Giuseppe Graviano. E se non ricordo male veniva dalle parti di Misilmeri, Palermo, però non lo so se parliamo della stessa persona.

PM: E si chiamava Giovanni di nome?

T: Sì

PM: In che senso faceva sporadicamente l’autista a Giuseppe Graviano?

T: qualche volta lo accompagnava al posto mio (…) In rarissime occasioni ho notato la presenza di questo (…) ai tempi avrà avuto la mia età o forse qualche un paio di anni in più (…) questa persona l’ho conosciuta solo in occasione che ci siamo incontrati per strada o perché Giuseppe era in macchina con me che lui andava avanti e faceva da battistrada o viceversa non abbiamo mai avuto nulla in comune.

 

Le dichiarazioni non hanno portato a nessuna indagine. Sono imprecise e comunque tardive. Poi l’autista ‘Giovanni’ sarebbe poco più grande mentre La Lia ha 7 anni in più di Tranchina. Per la trasmissione Sekret, trasmessa da www.iloft.it siamo andati a cercare La Lia dove oggi vive per chiedergli di quelle telefonate tra il suo cellulare e quello in uso ai Graviano. Prima ha finto di non essere lui. Poi è salito in auto ed è sparito.

 

il fatto quotidiano 11 ottobre 2019