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Difese Dell’Utri, muore in carcere

Denunciò, ma fu smentito, i pentiti che accusavano il senatore - Milano, Cosimo Cirfeta era sotto processo a Palermo per calunnia insieme al politico di Fi. Ha inalato gas, aperta inchiesta

Repubblica - 20 marzo 2006 - di Salvo Palazzolo - Ferruccio Sansa

MILANO – Cosimo Cirfeta porterà con sé nella tomba molti segreti: la Sacra Corona Unita, la Mafia e la verità su Marcello Dell’Utri. La polizia penitenziaria di Busto Arsizio (Varese) lo ha trovato morto sabato nella sua cella, nel braccio per i pentiti: Cirfeta era disteso in terra, accanto a lui la bomboletta di gas della cucina. Gli agenti non hanno molti dubbi: «I detenuti si drogano così, sniffano il gas». La procura, però, ha aperto subito un’inchiesta. Anche perché la morte di Cirfeta è comunque un giallo.

Proprio sabato, il nome di Cirfeta era stato chiamato nell’aula del tribunale di Palermo insieme con quello di Dell’Utri: entrambi sono imputati di calunnia per aver ordito un complotto contro i pentiti che accusano il senatore di Forza Italia di complicità con Cosa Nostra. «Cirfeta è un tossicodipendente che non esita ad attaccarsi al tubo del gas», avevano scritto i giudici di Palermo nella sentenza che l’11 dicembre 2004 ha condannato Dell’Utri a 9 anni. Le sue manie, Cirfeta le aveva mostrate sin dall’inizio della collaborazione con la Dda di Lecce, nel 1992: aveva tentato più volte il suicidio, era finito sotto accusa per sequestro di persona, dopo aver tentato di costringere l’ex fidanzata a seguirlo con la forza. «Era deluso e frustrato dalla sua scelta di collaborare con la giustizia – hanno scritto i giudici nella sentenza Dell’Utri – era preoccupato per la sua situazione familiare». Cirfeta aveva perso un figlio malato. Ma la Procura di Palermo non lo ha mai liquidato come un semplice depresso. Il processo che lo vedeva imputato in Sicilia stava cercando di aprire uno squarcio di verità. E qualche possibilità di arrivarci c’è ancora, secondo i pm Domenico Gozzo e Antonio Ingroia. Il complice di Cirfeta, un altro falso pentito che si chiama Giuseppe Chiofalo, aveva ammesso il complotto con Dell’Utri e aveva patteggiato una condanna a 10 mesi. «Mi incontrai quattro volte con Dell’Utri – ha detto – nell’interesse di Cirfeta». La sentenza che ha già condannato il parlamentare di Forza Italia chiarisce: «Dell’Utri aveva invitato Chiofalo a confermare le dichiarazioni di Cirfeta, promettendogli che “l’avrebbe fatto ricco” e assicurandolo dell’eterna riconoscenza sua e dei suoi amici». Contro Dell’Utri e i falsi pentiti ci sono anche una lunga serie di tabulati telefonici che hanno portato il consulente della Procura, il vice questore Gioacchino Genchi, a scoprire conversazioni partite dallo studio di Cesare Previti e da cellulari della Fininvest. «Le incontrovertibili risultanze dibattimentali – scrive la sentenza di Palermo – hanno evidenziato che in quel piano delittuoso, che mirava a delegittimare i collaboranti Francesco Di Carlo, Francesco Onorato e Giuseppe Guglielmini, il ruolo di indiscusso ed interessato protagonista è stato consapevolmente svolto da Dell’Utri». Ma Cirfeta negava. E denunciava un complotto di pentiti e giudici contro Dell’Utri e Berlusconi.

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