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Dell’Utri, i pm depositano nuovi verbali. La difesa: è ora che si vada al verdetto

La Procura: sono documenti che abbiamo ricevuto da poco, pure noi rinunciammo a sentire testi

Giornale di Sicilia - 20 gennaio 2004 - di Riccardo Arena

PALERMO. Marcello Dell’Utri avrebbe garantito a esponenti di Cosa Nostra il proprio impegno per far modificare le regole sulla «convergenza del molteplice », sulle dichiarazioni dei «pentiti» che si confermano a vicenda e che diventano una prova. Il verbale del collaboratore di giustizia Giusto Di Natale è datato 21 luglio 1999, ma solo ieri è stato depositato dalla Procura nel processo contro il senatore ed eurodeputato di Forza Italia.

Immediata la polemica, con reciproci scambi di accuse tra i difensori e i pubblici ministeri: oggetto del contendere, non tanto se sia o meno vero che Dell’Utri abbia promesso qualcosa ai mafiosi, ma una querelle su chi e perché voglia «tirare per le lunghe» il dibattimento, in corso dal 5 novembre del 1997. Il deposito del verbale prelude infatti a una richiesta di audizione di Di Natale, ma non solo: ieri i pmAntonio Ingroia e Domenico Gozzo hanno depositato altri verbali e trascrizioni di intercettazioni, quelli riguardanti il medico Salvatore Aragona (coinvolto nell’indagine «Ghiaccio 2», su mafia e politica) e anche per lui l’accusa o la difesa, o tutt’e due, potrebbero chiedere l’audizione.

Insomma, sembrava fosse finita, l’istruzione dibattimentale, ma invece i tempi potrebbero allungarsi ancora. Gli avvocati Roberto Tricoli, Enrico Trantino, Giuseppe Di Peri e Francesco Bertorotta sostengono che la Procura non avrebbe «reale volontà di concludere il processo» e ricordano che l’imputato aveva consentito l’acquisizione di una complessa consulenza informatica, realizzata dall’esperto Gioacchino Genchi, pur di evitare un’eccezione di incostituzionalità contro il «lodo Schifani», eccezione che avrebbe potuto paralizzare a lungo il processo. Il pm Gozzo replica ricordando di aver ricevuto il verbale da poco e che comunque già nel ’99 la Procura aveva rinunciato a 93 propri testimoni. La difesa aveva insistito però per ascoltarli, «senza poi porre loro alcuna domanda».

Nel verbale di quattro anni e mezzo fa, Di Natale aveva parlato dei rapporti tra il reggente del mandamento mafioso di Resuttana, Pino Guastella, e il suo omologo di Porta Nuova, VittorioMangano. «Un giorno — dettò a verbale — certamente dopo le elezioni del 1994 (forse nel settembre-ottobre), Guastella ritornò da un incontro con Mangano, portando la notizia che questi aveva avuto contatti con l’onorevole Dell’Utri e aveva ricevuto assicurazioni che le cose si sarebbero messe a posto per noi». Il reggente di Resuttana avrebbe parlato con il super killer e boss Leoluca Bagarella e col suo braccio destro a Brancaccio, Nino Mangano. Poi avrebbe spiegato all’allora imprenditore, oggi «pentito»: «Il genero di Vittorio Mangano (Enrico Di Grusa, oggi sotto processo, ndr) si era incontrato con Dell’Utri e aveva avuto assicurazioni che il parlamentare si stava muovendo in nostro favore. Credo che Guastella si riferisse in particolare alla modifica dell’articolo192del codice di procedura penale (sulla «convergenza del molteplice», ndr), cosa per cui tutti noi avevamo un grandissimo interesse. Peraltro in quel momento il 192 interessava particolarmente Salvino Madonia, che era “chiamato” da un solo pentito».

Pur sostenendo di non aver mai visto né parlato con Mangano o con Di Grusa, Di Natale parla di ripetuti incontri tra l’uno o l’altro e Guastella. E poi spiega di aver tenuto egli stesso la contabilità del mandamento, annotando la voce «Antenne Monte Pellegrino ’u sirpienti» (con riferimento al Biscione, simbolo di Canale 5). Il pizzo che avrebbe pagato ogni anno la Fininvest sarebbe stato di 250 milioni di lire. La difesa di Dell’Utri bolla come false le affermazioni di Di Natale: «Oltretutto le dichiarazioni del collaborante — affermano i legali — contraddicono le tesi della stessa accusa. Il ruolo di tramite e di esattore, che Di Natale ritaglia addosso a Mangano o a Guastella, era stato attribuito infatti al coimputato del senatore, Gaetano Cinà».

 

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