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Assalti ai tir, venti arresti

I mezzi rubati finivano in un garage giudiziario, a capo della banda c'era Vito Cuccia titolare di un deposito convenzionato. I proprietari dei camion spesso lasciano le carcasse che fruttano altri soldi - La criminalità scopre un nuovo affare che frutta miliardi. Grazie anche a complicità insospettabili

Repubblica - 4 dicembre 2001 - di Salvo Palazzolo

Un grande orecchio elettronico ha svelato l’ultimo miliardario affare del crimine a Palermo, le rapine ai tir. I cellulari utilizzati dai malviventi hanno detto più della confessione di un pentito: le centrali telefoniche e i ripetitori disseminati per la città hanno registrato fedelmente tutti i contatti e persino i percorsi. Così, la polizia ha scoperto una banda di 13 persone che godeva di complicità insospettabili, quelle del titolare di un deposito giudiziario, Vito Cuccia. L’ordinanza di arresto, firmata dal gip Renato Grillo, si fonda sulla maxiconsulenza tecnica dell’esperto informatico della Procura, Gioacchino Genchi. I carabinieri, con accertamenti simili, hanno invece sgominato un altro gruppo di sette rapinatori che operava fra Termini Imerese, Palermo e Carini. Due distinte operazioni, coordinate dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo, che hanno portato in carcere 19 persone. Una nell’ambito dell’inchiesta della polizia è latitante. Un giro d’affari da almeno due miliardi (1.032.913,80 euro) quello gestito da Vito Cuccia, e insieme a lui Vincenzo Zinna. Le indagini dell’Ufficio prevenzione generale della polizia, coordinate dai pm Maurizio Agnello e Gianfranco Scarfò, hanno appurato che la banda era ormai organizzata secondo una rigida catena di lavoro: rapine ai tir e furti. Le auto venivano poi “ripulite” e rivendute. Il guadagno arrivava dal mercato della ricettazione ma anche dai soldi pubblici. I due garage giudiziari di Cuccia (in viale Regione Siciliana e a fondo Camineci, all’ Uditore) erano una vera e propria macchina per far soldi. I mezzi rubati dalla banda venivano poi fatti ritrovare (naturalmente mancanti di molti pezzi, che erano stati intanto venduti) e dunque custoditi da Cuccia. Quando il proprietario arrivava e doveva pagare cifre astronomiche per il deposito, preferiva rinunciare. E quella carcassa fruttava ancora altri soldi. A tradire la banda è stata innanzitutto una cimice piazzata nella sala colloqui dell’Ucciardone. Il 2 marzo di quest’anno, Vincenzo Zinna (finito in carcere per una tentata rapina a un tir) parla tranquillamente con la moglie, Vincenza Maranzano, anche lei adesso finita in manette. Parlano dei “canuzzi”, sono gli automezzi rubati, e citano Cuccia. «Il canuzzo?… Quello bianco. Sono andato a prenderlo il canuzzo?» Il marito impartisce ordini e disposizioni sul da fare. E la donna riferisce a chi di dovere. I l gruppo CucciaZinna sapeva che i cellulari lasciano traccia. Aveva così adottato qualche precauzione, come quella di parlare con schede ricaricabili intestate a persone inesistenti. Ma la banda non sapeva che ogni cellulare ha una sua carta d’ identità, il cosiddetto codice Imei, che viene registrato dalle centrali telefoniche a prescindere dalla scheda utilizzata. Incrociando allora le tracce elettroniche lasciate dai cellulari, quando si connettono a un ripetitore (in gergo, “cella”) e quando sono in comunicazione, le indagini hanno ricostruito gli esatti movimenti dei malviventi. Due sono le rapine ai tir contestate nel provvedimento di arresto, quelle del 5 gennaio di quest’anno, allo svincolo di Bagheria e del 20 gennaio, alla rotonda di via Oreto. L’accusa più pesante è l’associazione a delinquere. Insieme a Cuccia, Zinna e alla moglie, i provvedimenti riguardano Luigi Lo Piccolo, Ignazio Di Miceli, Gaetano Castelluccio, Gaetano Maranzano, Silvio Varia, Giacomo Clemente, Fabio Gloria, Ludovico Di C ristina e Pasquale Caccamo. Le indagini dei carabinieri, coordinate dal pm Sandra Recchione, hanno invece portato il giudice delle indagini preliminari Maria Elena Gamberini a firmare un ordine di arresto per Giuseppe Polizzano, Gioacchino Rigano, Agostino Greco, Emanuele D’ Amico e i commercianti Salvatore Vassallo, Paolo Di Simone e Mario Rossella Musicò. La banda aveva un sistema infallibile per bloccare gli autisti dei tir: lampeggiatori, come quelli della polizia, piazzati sulle auto. E l’ immancabile paletta con la quale intimavano l’ alt. «Gli assalti ai tir — commenta il procuratore Alfredo Morvillo — continuano ad essere un affare molto lucroso. Più di quanto si pensi: rapine di questo tipo se ne fanno ogni giorno perché sono più facili di quelle in banca e ugualmente redditizie».