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Il tesoro di Provenzano è caduto nella rete

Genchi, il poliziotto informatico di Palermo ha incastrato il boss di Cosa Nostra facendo “confessare” un floppy disk. Fu sempre lui che aiutò Giovanni Falcone dopo l’attentato all’Addaura

Polizia Moderna - 1 ottobre 2002 - di Lirio Abbate

Screenshot 2019-04-09 20.43.11I mafiosi cadono nella rete dell’informatica. Sempre più spesso la polizia impiega esperti di software e consulenti telematici che utilizzando i computer riescono a dare impulso alle indagini, contribuendo ad imprimere una svolta alle inchieste giudiziarie sui boss e latitanti mafiosi. I poliziotti agenti della squadra mobile di Palermo sono riusciti ad individuare due prestanomi del capo di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, ricercato da oltre quarant’anni. A questi due insospettabili erano intestati lussuosi locali, sistemati nella centrale via Principe di Belmonte, una strada considerata il salotto di Palermo, e adesso sottoposti a sequestro su ordine della magistratura. Un’indagine avviata dal sequestro di computer e floppy disk avvenuto dopo l’arresto del geometra Giuseppe Lipari, considerato l’economo di Provenzano. E proprio da questi supporti magnetici il vice questore aggiunto della Polizia di Stato, Gioacchino Genchi, ha tirato fuori nomi e dati. Elementi importantissimi che hanno consentito di scoprire il tesoro di Provenzano. Lipari rendicontava al superlatitante tutti i proventi degli incassi e le spese sostenute dai prestanomi per le imposte e le tasse sugli immobili che erano stati fittiziamente intestati ai due indagati.

provenzanoDopo il sequestro dei computer i pm della Dda di Palermo chiamano Genchi e gli sottopongono un lungo ed articolato quesito. Il poliziotto si mette al lavoro e si imbatte subito nelle prevedibili cautele adottate da Lipari: “Il geometra – spiega il vice questore – non aveva salvato i documenti editati né sull’hard disk, né su floppy disk. Inoltre, e non a caso, utilizzava computer, sistemi operativi e software della Machintosh, che meno si prestano al recupero dei dati cancellati. Nonostante ciò, il primo esame ha portato a galla migliaia di file: ci sono riferimenti a nomi, imprenditori, appalti, patrimoni, ma nulla di nuovo rispetto a quanto le indagini non avessero già accertato”. Genchi avvia la seconda fase. “Sono stati esaminati e recuperati – spiega il poliziotto – altre migliaia di file nascosti e cancellati. Ma anche da questo esame nessun risultato. La svolta arriva da un cambio di rotta. Abbandonati per un attimo i file, ci si è concentrati sulla modalecomportamentali di Giuseppe Lipari nell’uso del computer, la filosofia informatica di approccio dell’utente indagato. Un vero e proprio studio psicologico mediante il quale si è scoperto che in uno dei floppy disk sequestrati, formattato più volte, ci sono le tracce sparse di alcuni bite, che fra tanti geroglifici e caratteri incomprensibili racchiudono la sequenza di uno spool di stampa. Sono, cioè i resti mascherati di quello che rimane sul supporto magnetico dopo la stampa di un file che si è editato col computerma che si è prudentemente deciso di non salvare”.

images-10“I bite – secondo quanto ricostruisce l’esperto informatico – vengono messi insieme uno per uno, viene scoperto l’algoritmo di ricomposizione e di conversione dei caratteri ed è così possibile leggere integralmente il contenuto delle annotazioni di Pino Lipari, in una missiva in cui rendicontava a Provenzano i proventi degli incassi di alcuni affitti, eseguiti da uno dei tanti prestanomi chiamato Filippo. Ecco, dunque, il patrimonio del capo di Cosa Nostra”.


giovannifalconeGioacchino Genchi da oltre quindici anni è consulente informatico di diverse procure italiane nelle più importanti indagini di mafia e di criminalità organizzata.
A fianco del giudice Giovanni Falcone sin dal 1987, ha assistito il magistrato in ogni istante dopo il fallito attentato all’Addaura nell’estate del 1989. È Genchi che vara le misure di protezione dell’abitazione, dell’ufficio, delle linee telefoniche e della preziosa banca dati del magistrato dopo il disinnesco dell’ordigno. In quei giorni il poliziotto non poteva immaginare che a distanza di tre anni avrebbe dovuto rimettere le mani su quei computer per estrarre le informazioni registrate dal magistrato assassinato il 23 maggio 1992. La procura di Caltanissetta gli affida le indagini informatiche e telefoniche dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Dall’analisi del traffico cellulare Genchi individua gli autori materiali dell’eccidio di Capaci prima ancora che i collaboratori di giustizia confermassero i nomi dei responsabili. In questi anni, attraverso il controllo di quasi due miliardi di conversazioni telefoniche, il vice questore ha tracciato una mappa articolata della criminalità organizzata in Sicilia, in Calabria ed al nord Italia.