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Mazzata alla mafia di San Lorenzo. Due ergastoli e altre sei condanne

Giornale di Sicilia - 22 marzo 2000 - di Riccardo Arena

Gioacchino-GenchiDopo l’annullamento da parte del Tribunale del Riesame di Palermo dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di diversi indagati (fra i quali il giovane boss Lo Piccolo Sandro, da allora latitante), il Pubblico Ministero della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo ha conferito al dr. Gioacchino Genchi un articolato incarico di consulenza volto all’elaborazione ed all’analisi dei dati di traffico telefonici ed alla ricostruzione dei rapporti fra gli indagati, con particolare riguardo alle dinamiche dei frangenti omicidiari oggetto delle imputazioni. Dopo il deposito della relazione, nel corso di diverse udienze, il consulente ha illustrato al dibattimento l’esito delle sue indagini, accolte dalla Corte d’Assise di Palermo che ha condannato alla pena dell’ergastolo Biondo Salvatore e Lo Piccolo Sandro ed a pene detentive variabili gli altri imputati. Sentenza Biondo+7 – confermata nei successivi gradi di giudizio – è passata in giudicato. Di seguito l’articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia  a firma di Riccardo Arena sui fatti del processo che ha portato al verdetto emesso dalla prima sezione della Corte d’Assise presieduta dal giudice Angelo Monteleone.  

 

 

Sandro Lo PiccoloDue ergastoli e condanne per mezzo di carcere: la prima sezione della Corte d’Assise accoglie quasi del tutto le richieste del pubblico ministero Mauro Terranova nei confronti degli imputati del processo denominato «Biondo+7», contro un gruppo di persone ritenute appartenenti alla cosca di San Lorenzo.

Le condanne a vita, per quattro omicidi consumati e uno tentato, risalenti al ’95, sono toccate a Salvatore Biondo detto «il lungo», subentrato a Salvatore Biondino nella guida del mandamento di San Lorenzo, e a Sandro Lo Piccolo, latitante e figlio di un altro latitante, Salvatore, boss di Tommaso Natale, indicato come il successore di Biondo (che è detenuto) a capo del mandamento.

Per associazione mafiosa sono stati condannati invece gli altri imputati: Giovanni Cusimano (sei anni e otto mesi), Salvatore Genova, Francesco Liga (entrambi a nove anni), Giuseppe Lo Verde (sei anni e otto mesi), Calogero Lo Piccolo (fratello di Sandro: dodici anni), Vincenzo Taormina (sei anni e otto mesi). Quest’ultimo, assieme a Cusimano e Lo Verde, ha ottenuto la riduzione di un terzo della pena, grazie al rito abbreviato. I difensori degli imputati, gli avvocati Alessandro Campo, Gioacchino Sbacchi, Armando Zampardi, Serafino Bellissimo, Enrico Sanseverino, Francesca Russo, Nino Zanghì, hanno preannunciato appello contro la sentenza, emessa dalla Corte presieduta da Angelo Monteleone, a latere Cinzia Parasporo.

La decisione conferma l’impostazione data all’indagine dai collaboratori di giustizia Giovan Battista Ferrante, Isidoro Cracolici e Francesco Onorato. Gli omicidi oggetto del processo erano quattro e avvennero nel giro di un mese e mezzo: Giovanni Zinna fu ucciso il 7 aprile del ’95; Leonardo Simonetti e Mario Della Vedova il 27 maggio successivo; Felice Basile quattro giorni più tardi. Secondo l’accusa si sarebbe trattato di «punizioni» scattate nei confronti di persone che avrebbero violato le regole di Cosa nostra commettendo furti «non autorizzati» o mancando di rispetto ai boss.

Un altro personaggio da punire sarebbe dovuto essere Mario Velardi, di Tommaso Natale, sfuggito a un attentato il 12 giugno del ’95. Velardi, nei giorni precedenti l’attentato, aveva notato una moto di grossa cilindrata nei pressi dell’autolavaggio in cui lavorava. Memore della brutta fine che avevano fatto le altre quattro persone uccise, quando, dopo un paio di giorni, rivide la moto e due persone col casco integrale a bordo: se la diede precipitosamente a gambe: il colpo di pistola che gli spararono lo raggiunse così solo alla coscia. Velardi fu poi al centro di una controversa deposizione, poi ritrattata, nel processo per l’omicidio di Giuseppe Messina, un imprenditore che sarebbe stato assassinato per motivi di interesse, su ordine del suo migliore amico, Marco La Placa.

La responsabilità degli omicidi viene attribuita, come mandanti e come esecutori, a Biondo (detto «il lungo» per distinguerlo da un cugino omonimo, indicato come «il corto») e Sandro Li Piccolo. Di mafia rispondono gli altri imputati. Cusimano, Lo Verde e Genova, non sono considerati “uomini d’onore”. Ma avrebbero partecipato attivamente alla vita della cosca, riscuotendo il pizzo riscosso ai commercianti di San Lorenzo o che comunque ricadono nel territorio del «mandamento».

Nel corso del processo c’era stata un dura polemica tra i difensori e il pm a proposito della deposizione di Cracolici: secondo Biondo, il collaborante avrebbe letto passaggi della deposizione da alcuni appunti che aveva con sé; i legali avevano protestato e poi era stato chiarito che Cracolici avrebbe avuto con sé il verbale di un proprio interrogatorio, di cui poteva disporre legittimamente, essendo imputato in un procedimento parallelo. Non è mai stato chiarito però se avesse tentato ed eventualmente fosse riuscito a leggere da quei fogli: le immagini televisive (la deposizione era in videoconferenza) non hanno risolto il dubbio, anche per un difetto nella registrazione.