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L’AUTO DETECTIVE

SULLA VETTURA DEL SUPERCONSULENTE INFORMATICO GIOACCHINO GENCHI, L'UOMO CHE DA UN TELEFONO SCOVA COLPEVOLI E TRAME OSCURE. «OGGI NON È POSSIBILE EVITARE DI LASCIARE TRACCE IN GIRO, QUELLO CHE CONTA È CERCARE BENE, CON GLI STRUMENTI ADEGUATI E... LA SUV GIUSTA»

GenteMotori - 1 ottobre 2008 - di Edoardo Montolli

Una campagna a Ovest di Cutro, estrema provincia crotonese. L’auto ferma sullo sterrato è una Lexus RX 400h grigio metallizzato, ma appena apre il portello e vedi i computer all’opera, hai l’impressione di catapultarti all’improvviso nella Jaguar subacquea dei fumetti di Diabolik, o nella ipertecnologica Aston Martin di James Bond. Solo che questo non è un fumetto, e nemmeno un film. Anzi. I pc della vettura, due più un palmare, stanno cercando di risolvere da lì, in mezzo a un bosco, nientemeno che un omicidio avvenuto nel 2004. Qualcuno la chiama la Genchi-mobile, fendo il verso alla Corvette volante di Batman, e ricalcandola su di lui, che ne è il proprietario: il vicequestore aggiunto in aspettativa Gioacchino Genchi. Palermitano, 48 anni, massimo esperto in Italia nell’analisi del traffico telefonico, consulente chiave delle Procure nelle più importanti indagini su Cosa Nostra, e in quelle di diversi processi eccellenti su politici, spie, militari corrotti, fino al più delicato, come consulente del pm Luigi De Magistris. E poi delitti, tantissimi delitti in mezza Italia. Lo chiamano perché, come in questa situazione, da un solo numero di telefono, scopra cosa sia accaduto. E, possibilmente, chi sia l’assassino. Lui va sulla scena del crimine, e, agganciandosi coi suoi pc alle cosiddette BTS, le stazioni radio base dei ripetitori dei telefonini, analizza l’intero traffico telefonico avvenuto nella zona prima, durante e dopo il delitto. Quindi, incrociando l’Imei (il numero seriale del telefonino) e la Sim degli indagati, li confronta con tracce Bancomat, Telepass, carte di credito, ricariche, viaggi aerei e in nave, conti correnti e operazioni societarie. Ne esce un sofisticatissimo elaborato logico-matematico, che, qui a Cutro, per esempio, tra milioni di bytes analizzati, gli ha fatto anche scoprire che il telefono usato dagli assassini era intestato a una persona inesistente. E registrato a seicento chilometri di distanza. Tutto su quelle quattro ruote. Sembra fantascienza. Invece no. Almeno se non la guardi dentro, la Lexus: due motori elettrici e uno a benzina, come da listino. Ma sui sedili posteriori, ecco l’ufficio mobile: tavolino, una rete wireless protetta, connessione a due dsl diverse in Umts, computer con hard disk criptati e protetti da chiavi e password di ogni tipo. Il palmare, in interazione con le planimetrie satellitari di Google Eearth, che “ragiona” sui risultati dei due portatili e sui risultati delle elaborazioni di strumenti particolarissimi e fin troppo complicati da spiegare. Il tutto è reso possibile grazie all’installazione di un potente alimentatore a 220 volts. «Quest’auto è assai pratica, forse la migliore in questa fascia di SUV – dice Genchi – specie per muoversi in campagna su strade non sempre asfaltate. Tuttavia, nonostante sia dotata di un navigatore di alta qualità, ottimo per la grafica e capace di leggere CD e DVD, non ha un sistema intelligente per trovare i percorsi migliori. Nel senso che non permette di scegliere il tragitto in base a ostacoli o al traffico. Io e la mia equipe, ci portiamo sempre dietro un navigatore alternativo». Di certo, per uno come lui, i dettagli tecnologici sono fondamentali: «La capsula del microfono che consente il collegamento Bluetooth al cellulare è messa troppo distante, e anche in questo caso uso un Bluetooth esterno. E poi c’è il problema della telecamera anteriore che manca, rispetto ad esempio a un fuoristrada Toyota di fascia inferiore. Sia chiaro, particolari minimi, visto che, per tutte le sue caratteristiche è la quarta di seguito, stesso modello, che compro». Sarà forse davvero così bella la base della Genchi-mobile, de gustibus, ma di certo – così attrezzata – diventa indispensabile in indagini particolarmente complesse, quando nemmeno si sa da che parte girarsi, quando di indagati nemmeno ce n’è, ma di sicuro c’è traccia dei colpevoli sulla scena, cioè la porzione di territorio che “mappa” e, in sostanza “scheda”, la presenza di un telefonino, qualsiasi sia l’operatore con cui è stato registrato. Tutte cose che la Genchi-mobile, capta dal punto in cui si ferma. «La verità è che è oggi impossibile non lasciare tracce, – prosegue Genchi – l’importante è cercare bene». A meno che, ovvio, uno non viva come viveva il capo dei capi, Bernardo Provenzano, che riceveva i messaggi via pizzini, e che, al massimo della tecnologia, guardava una tv con antenna portatile: difficile. Quanto al nomignolo che accosta molto pomposamente la sua supercar alla Batmobile, ci scherza su, perché non è il phisique du role che gli importa. Molti anni fa, sedici per l’esattezza, gli affidarono le indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Genchi andò avanti. Forse troppo. Un giorno gli proposero il trasferimento e un’auto blindata con scorta. Lui scrisse una lettera al questore di Palermo, ringraziò. E rifiutò, continuando a muoversi sulla sua vecchia Fiat Uno. Potesse servirgli ancora, c ‘è da giurarci, userebbe quella.

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