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De Magistris, bufera a Catanzaro: perquisizioni e avvisi in procura

Repubblica - 3 dicembre 2008 - di Giuseppe Baldessarro

Il decreto di sequestro probatorio, emesso dalla Procura di Salerno e sfociato nelle perquisizioni alla Procura di Catanzaro dello scorso 2 dicembre, accerta che non vi era alcun fondato motivo, a seguito della già “illegale” avocazione dell’inchiesta “Why Not”, per revocare l’incarico al consulente Gioacchino Genchi, così come deciso dal procuratore generale facente funzioni Dolcino Favi. “Gli approfondimenti esperiti da questo Ufficio – scrivono i pm di Salerno – sulle vicende relative alla revoca dell’incarico consulenziale al dr. Genchi nell’ambito del procedimento penale n. 2057/06/21 c.d. Why Not, hanno evidenziato una serie di gravi patologie” oltre a “gravi profili di illiceità”. Di seguito la cronaca dei fatti che hanno portato alla perquisizione. 

 

CATANZARO – «La sottrazione dei procedimenti “Poseidone” e “Why Not” dal pm Luigi De Magistris, e la loro successiva gestione, sono servite a fermare il magistrato danneggiandolo, ad ostacolare le inchieste, a smembrarle e a favorire taluni indagati». Sono durissime le ipotesi di reato attorno alle quali stanno lavorando i magistrati della Procura di Salerno. Accuse pesanti, che ieri si sono trasformate in sette avvisi di garanzia ai vertici del Palazzo di giustizia di Catanzaro, i cui uffici sono stati anche perquisiti – con sequestro di documenti – su ordine degli inquirenti campani. Destinatari dei procedimenti, firmati dal procuratore Luigi Apicella e dai sostituti Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, molte delle toghe che si sono occupate delle inchieste tolte a De Magistris. Tra queste il sostituto procuratore della Repubblica Salvatore Curcio, cui fu assegnato il caso “Poseidone” dopo la revoca al pm catanzarese, e l’ex procuratore capo Mariano Lombardi. Carabinieri e poliziotti hanno bussato anche agli uffici dell’aggiunto Salvatore Murone e dell’avvocato generale Dolcino Favi. Nella stessa inchiesta il sostituto procuratore generale Alfredo Garbati, coordinatore del pool assegnatario di “Why not” dopo De Magistris, e Domenico De Lorenzo, anch’egli componente di quel gruppo di lavoro. Tra gli indagati, il cui numero totale non è ancora noto, anche l’imprenditore Antonio Saladino e il procuratore generale Vincenzo Iannelli. Nomi eccellenti, che sarebbero responsabili di aver tolto illegittimamente le inchieste a De Magistris e, cosa ancor più grave, di averlo fatto per favorire alcuni degli indagati. Il tutto mentre il magistrato veniva trasferito a Napoli per questioni disciplinari, su decisione del Csm: scelta sollecitata dall’ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, su cui il pm aveva indirizzato un filone dell’indagine “Why not”. La posizione del Guardasigilli venne poi archiviata su richiesta del pool di magistrati cui fu affidato il fascicolo. Quelle indagini furono affossate «volontariamente», secondo i magistrati salernitani. Come pure poco chiara fu la decisione di archiviare le posizioni di Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc, di Giuseppe Chiaravalloti, ex governatore calabrese, di Giuseppe Galati, ex sottosegretario del governo Berlusconi, e del senatore forzista Giancarlo Pittelli, tutti coinvolti in “Poseidone”. Le due inchieste crearono scalpore. De Magistris infatti descriveva un coacervo d’ interessi finalizzati a gestire centinaia di milioni di euro in diversi settori. Dalla depurazione all’ energia, dal lavoro interinale alla sanità. Soldi che invece di alimentare lo sviluppo della Calabria finivano nelle tasche di partiti e potentati economici. Centinaia di nomi e altrettante società. E se “Poseidone” fu definita «la madre di tutte le inchieste», non da meno fu “Why not”, che portò al coinvolgimento di Mastella e dell’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Inchieste successivamente tolte al pm catanzarese, e che gli costarono denunce e trasferimento di sede e di funzioni. Il magistrato in quei giorni reagì depositando una sua denuncia. Salerno, la scorsa primavera, chiese l’ archiviazione delle accuse contro De Magistris. All’epoca, oltre a scrivere della «estrema correttezza del magistrato», sottolineò «il clima torbido nel quale era costretto a lavorare». Dopo mesi di interrogatori e di approfondimenti silenziosi, ieri i giudici campani sono usciti allo scoperto sequestrando centinaia di faldoni relativi alle due inchieste, computer e incartamenti. E ora chiedono conto ai «detrattori» di De Magistris.